ALESSANDRO GRAZI E’ L’IMMAGINIERE FRA NEW YORK E LONDRA
È uno dei maestri che sa unire con maggiore efficacia creatività e visione internazionale. Con la sua arte commenta, rappresenta e riesce a trasportare il pensiero del pubblico verso nuove realtà di immaginazione.
Alcune domande prese dall’intervista da me realizzata al maestro per Profili d’Artista 2020 (Editoriale Giorgio Mondadori) ci aiutano a capire il suo punto di vista e il suo intervento nel mondo dell’arte contemporanea con la sua prospettiva assolutamente internazionale.
In questo momento storico in Italia, essere un artista è un privilegio o una responsabilità?
La famosa domanda da un milione di dollari. Le mie cose prendono spunto dalla “cronaca” di tutti i giorni. Anche da quella più nascosta o che viene tenuta tale dai mezzi di comunicazione. L’Italia attraversa una fase politica, economica e sociale molto travagliata e tanti artisti sentono la responsabilità di denunciare o sottolineare le ingiustizie o le bellezze che si “producono” oggi. Nel 2020 il privilegio di essere una persona che può farlo senza paura non ha prezzo. Per cui posso dire che le due cose coesistono e l’una non esclude l’altra. Per esempio ho iniziato un percorso, circa trent’anni fa, inventando e organizzando mostre “ecologiche” dove lo scarto diventa arte. Alla fine del 2019 ho inaugurato due grandi sculture, il MANGIAplastica, una Torre del Mangia stilizzata, e l’ECOvallo, una grande testa di cavallo protagonista del Palio. Due sculture/contenitore, in legno riciclato, che si trasformano in protettori dell’ambiente senese aiutando a differenziare la raccolta della plastica. Il tema è davvero molto sentito a livello mondiale e i residui di plastica che viene messa al loro interno le colora e completa. La parte bella è quella che ho raccontato ora ma il risvolto è stato che toccare i simboli senesi non è piaciuto a tutti ed alcuni hanno interpretato in maniera distorta, anche dal credo politico, una azione che va ad aiutare l’ambiente senese a rimanere incontaminato. Ecco qui l’artista ha il “privilegio” di prendere la “responsabilità” e l’orgoglio di quanto fatto.
L’artista è più vicino ad un poeta o ad un “filosofo” della vita quotidiana?
Devo dire che mi vedo più filosofo ma in maniera “quotidianamente concreta”. Una volta ho scritto sotto il mio nome e cognome la frase “Art daily” proprio per dare forma a questo pensiero. Chi mi conosce sa che scrivo sulla superficie dei miei lavori e le parole sono molto importanti perché legate indissolubilmente al progetto degli stessi. Le parole sono dirette o a doppiosenso e svolgono l’azione di completare ed aprire una discussione sul tema affrontato. Non sono mai risolutive ma hanno il compito di “agitare” il fruitore del messaggio affinché diventi lui stesso un filosofo in quell’ambito.
Sono anni importanti per le mostre e per essere selezionato in eventi: quale appuntamento ricorda con più piacere dei recenti? Ripensando a tutto posso affermare che sono due quelle di cui ho i ricordi più vivi. La prima dove sono stato selezionato da Giammarco Puntelli per la mostra Infinity nel 2017 con tappa anche a Londra alla Pall Mall Gallery. Devo dire davvero un altro passo. Lì si sono rinsaldate amicizie con artisti che avevo già incontrato e nate delle nuove tra cui quella con il grande Giampaolo Talani. Una mostra eccezionale dove il culmine è stato un episodio goliardico. Abbiamo inscenato la traversata sulle strisce pedonali, con tanto di foto e filmato, scimmiottando da buoni toscanacci, quella dei Beatles della Abbey Road riportata nella copertina omoni- ma dell’album. Giampaolo suggerì di chiamarci the Bischers. L’ironia toscana si era unita all’arte. E poi naturalmente la seconda dove è arrivato l’invito ad esporre negli Usa a New York con una mia personale alla Kean University.
La mostra negli USA: ci racconti l’avventura di un toscano e di un maestro negli States. Chi non sarebbe orgoglioso di questa avventura che ho fatto all’inizio del 2019. Essere invitato dalla Kean University NJ, dal suo direttore artistico Neil Tetkowski ad esporre a New York nella Nancy DryFoos Gallery con una personale dal titolo “Spatialism and Futurism”? Ero lì che esponevo e a dieci minuti da noi c’era la più grande retrospettiva di Fontana a New York! Noi toscani siamo dei dissacratori nati ma a distanza di un anno ancora non mi rendo conto di quello che veramente ho fatto. Dodici pezzi fatti apposta per questa occasione che toccano temi importanti e di cui mi sono sempre interessato e all’interno di una delle università americane più multietniche. Le emozioni sono state continue e diverse in quei giorni miste a soddisfazione scaturita dalle domande e interesse dei visitatori sul lavoro fatto con un entusiasmo che traspariva dalla scoperta che quello che vedevano proveniva da un artista della “piccola e lontana” Italia ed erano stupiti da quella “personale innovazione” che facevo conoscere negli USA. Oppure il nostro imbambolamento visivo davanti al più bel Luna Park a cielo aperto che offre una New York folgorante da passeggiata notturna senza timori. E la frase più frequente nella testa è stata sempre quella che ero nel posto giusto dove può succedere tutto, con la differenza rispetto all’Europa, che può succedere davvero e ne percepisci l’energia. Questa esperienza mi ha reso, per quello che ho provato, più sicuro e “meno solo” sulla “famosa” via della ricerca che conduco confortato anche da tanta Italia nell’arte contemporanea vista nei grandi musei.