AL CENTRO DELLA SUA PITTURA IL TEMA DEL BORGO E QUELLO DELLE ARCHITETTURE, CON LA SPERANZA CHE L’UOMO COMPRENDA LA NECESSITÀ DI RINNOVARE IL RAPPORTO CON LA NATURA. QUESTA È LA MISSIONE DELL’ARTE DI PATRIZIO OCA
Questa intervista fa parte del libro Profili d’Artista (Editoriale Giorgio Mondadori) uscito da pochi giorni nelle librerie.
Cultura, educazione e sostenibilità morale: da lì parte tutto. Il maestro Patrizio Oca racconta la sua passione per la musica e i legami di questa con la sua arte. Al centro della sua pittura il tema del borgo e quello delle architetture, con la speranza che l’uomo comprenda la necessità di rinnovare il rapporto con la natura.
Con la pittura, con i colori, si possono risvegliare le coscienze su temi di interesse comune. La sua arte, e in particolare il tema di un ciclo, racconta di ciò che dobbiamo impegnarci a preservare. Le chiedo di descrivere tale tema.
Per l’esattezza i cicli che riguardano questo tema sono due. Il primo, borghi antichi agglomerati urbani, le cui opere sono nate direttamente dalla pittura estemporanea, dove mettono soprattutto in risalto la bellezza dei centri storici di tante cittadine italiane che ancora oggi sono vivibili, rispetto alle grandi città o metropoli. È la misura di piccoli paesi dove l’uomo metteva attenzione a ciò che costruiva nel rispetto della natura, quindi salvaguardandola, ed anche delle relazioni sociali. È la misura ancora di una vita che può andare con ritmi più lenti di quelli frenetici a cui oggi la società ci ha obbligati. Ma l’uomo non è stato progettato per sostenere questi ritmi e ne trarrebbe infiniti vantaggi, in luoghi in cui si possa ritrovare una socialità perduta. Poi la natura circostante veniva rispettata perché doveva dare da mangiare a loro e alle future generazioni e questo le antiche popolazioni lo sapevano. Un occhio particolare poi, anche alla bellezza che tali architetture esprimevano e di cui noi oggi possiamo ancora goderne. Il secondo ciclo simbologia e architetture l’avvicendarsi del tempo, rapporti tra l’uomo e la natura. Per lo più nasce da composizioni in studio più pensate e ragionate. Lì si vede la contrapposizione delle architetture di oggi; al centro del quadro le costruzioni moderne in cui oggi viviamo, simili a scatole di cartone, brutte esteticamente, con tutto attorno le simbologie di architetture antiche come rosoni, portici, campanili, piazze e mura antiche, tipiche del medioevo del Rinascimento. Sullo sfondo sempre la natura presente, tipicamente colline. In alto una mia simbologia rappresenta il sole che splende di notte e la luna di giorno, a significare che l’uomo è riuscito ad invertire il ciclo di notte giorno, non rispettando la natura. Quindi i dipinti dei borghi e delle simbologie è un auspicio, che l’uomo ne prenda esempio per il proprio futuro. Io lì abiterei volentieri.
Come è nata questa sua passione per il tema del borgo e in generale per l’ecologia?
Sono nato e ho vissuto in collina a venticinque chilometri da Bologna, da persone di origine contadine. Quindi l’ecologia, che in fondo sono quelle norme e quelle pratiche che esercitavano i nostri nonni o i nostri padri da bambini, sono conosciute e si sono evolute con l’esperienza di secoli. Sono quelle che ora, con termini più moderni, chiamano sostenibilità o economia circolare. Purtroppo oggi molti si riempiono solo la bocca di queste parole che dovrebbero avere un profondo valore. L’uomo moderno ha sterminato alcune civiltà come gli indiani di America ed altre, che vivevano a contatto con la natura e ne avevano enorme rispetto. Da qual-che decennio la natura ci sta dando esempio di quale sia la sua forza e l’uomo ne paga le conseguenze. E penso che siamo solo agli inizi; oltre ai disastri di alluvioni, maremoti, esiste il problema che sempre più terre vengono desertificate ed anche l’Italia è tra queste, e così molti popoli si dovranno spostare. Tutto questo può causare guerre. Non è utile spostare le merci da un continente all’altro, è già dimostrato scientificamente, quello che coltivano gli australiani o i cinesi non fa bene al popolo europeo. Anche noi esseri umani ci siamo modificati piano piano geneticamente e ognuno risente delle coltivazioni che si possono fare senza sfruttare il terreno in quel luogo. L’Italia è il Paese che ha più biodiversità al mondo e questa è la sua grande risorsa. Forse dobbiamo pensare un po’ più in piccolo e a livello locale, guardandoci intorno per capire cosa ci ha riservato la natura, quale possibilità ci ha offerto in quel luogo. E noi non possiamo stravolgerlo solo per sporchi interessi economici di poche persone al mondo che influenzano tutta l’economia globale.
Come nasce una sua opera?
Parto sempre da idee e soprattutto da immagini che mi vengono in mente. Ogni volta si possono notare in questi borghi dei particolari diversi: a volte la gioia dei bambini che corrono verso un borgo antico e trovano subito un prato verde e sono felici, altre volte i palloncini come ad indicare che un paese sia in festa. Molte volte penso a due, tre immagini insieme, chiudo gli occhi come se le stessi sognando, cerco di metterle insieme soprattutto nell’aspetto naturalistico del paesaggio insieme all’architettura. Alcune persone mi dicono che sembrano paesaggi fiabeschi ed onirici. Cerco di immaginare il più bel luogo abitato, che dia sensazione di bellezza e di benessere a chi lo guarda. Voglio che sprigioni il desiderio di poter abitare in quei luoghi e molte persone, guardandolo, vanno ai loro ricordi di una infanzia felice e serena. Voglio che per i miei figli e nipoti ci sia questa possibilità. Vorrei che per tutte le generazioni future ci possa essere la possibilità di ammirare il fascino della natura così come è stata creata, di poter abitare in luoghi fantastici dove potersi incontrare e avere relazioni sociali e soprattutto reali.
Come decide i colori dell’opera?
Se l’ho immaginata prima, per un quadro da studio, seguo le atmosfere e la visione che ho avuto. Se dipingo all’aperto, aspetto le emozioni e le sensazioni dell’ultimo momento. Difficilmente parto e decido già prima quali tonalità dare al quadro. Sarebbe un po’ come violentare le mie emozioni, quelle che nascono dal luogo che stai ammirando. Magari pensavo di avere certe emozioni e tradurle quindi con certe atmosfere ma poi sul luogo sono cambiate. Mi adeguo così con varie tonalità e tavolozze alla sincerità e al suggerimento del mio cuore. Poi sicuramente all’interno di quell’atmosfera, qualunque essa sia, riesco a mettere molti colori. È la mia particolarità, amo metterli tutti perché tutti insieme si trovano nella natura. Sono colori caldi e freddi, complementari, colori vividi e saturi, toni di grigi e pastelli. Il tutto costruito con pochi colori, meglio mescolarli e ottenerli, per non avere tonalità sporche.
La sua arte di oggi cosa ha conservato della pittura delle sue prime opere?
Sicuramente la spontaneità nella realizzazione: anche quando è un quadro più pensato da studio. Quando si ha in testa l’idea bisogna essere veloci con colore diluito a coprire tutta la tela, bisogna quasi che la mano corra più veloce del cervello, per non essere in ritardo con l’intuizione pittorica successiva. Si vive un’esperienza di “quasi sincronia” tra pensiero, immaginazione e realizzazione su tela. Un pensiero o una intuizione lenta, a mio avviso, non brillano mai.
In questi mesi su quali temi e su quale ciclo sta lavorando?
Attualmente sto lavorando sempre sul tema dei borghi. Da circa un anno ho perso la mia cara mamma. Sto pensando, come del resto lei mi aveva suggerito, di utilizzare lo spazio della sua abitazione per ingrandire e rinnovare il mio studio, per avere la possibilità di dipingere in maniera più libera e anche tele di grandi dimensioni. A volte, per pensare in grande, sono necessari degli spazi grandi, in cui ci sia la libertà di muoversi meglio fisicamente. D’altra parte un uomo che vive in una cella o in un piccolo spazio non può nulla contro colui che può essere libero di andare dove vuole, di vedere, di confrontarsi e apprendere, di sperimentare e di crescere. Nello studio più grande è come se fossi libero di andare dove voglio. Se tutto andrà bene, sarà composto da tre diverse stanze, il tutto tre o quattro volte più grande di quello attuale.
Lei frequenta oltre al linguaggio della pittura, quello della musica. Da cosa nasce questa passione?
Non so proprio da cosa nasca questa passione, l’avevo fin da bambino insieme a quella della pittura. Nessuno nella mia famiglia e tra tutti i parenti ha queste passioni. Forse, nel mio piccolo paesino, ero affascinato dall’organo elettrico che il parroco aveva acquistato per la nostra piccola chiesetta, dove per tanti anni ho fatto il chierichetto. Mi piaceva ascoltare le voci alte delle donne accompagnate da questo strumento. Ho ottenuto il permesso, durante la settimana, di aprire la chiesa per andare ad esercitarmi. Ricordo che erano mesi invernali, non c’era il riscaldamento e le mani gelavano dal freddo nonostante le muovessi sulla tastiera. Imparai a suonare ad orecchio e a riconoscere le note e gli accordi sul pentagramma. Questi sono bei ricordi, nonostante il tanto freddo che ho patito. Evidentemente, il mio grande papà ha capito che avevo una forte passione per la musica e mi comprò un vero pianoforte sul quale studiare. Che bellissima emozione! Mio papà prese la sua Fiat 600 per andare in città, in un pomeriggio lavorativo, proprio nel centro di Bologna vicino alle due torri, insieme a me. Mi stava dedicando il suo tempo per esaudire una mia passione. A quel tempo non era come oggi, oggi i figli vengono accompagnati in qualsiasi luogo con l’automobile di papà e mamma. Mio papà lavorava da fabbro artigiano, anche per lui era una vera passione il suo lavoro. Prima di allora, non si è mai mosso per accompagnarmi da qualche parte. Io già da bambino viaggiavo in corriera ed era un lusso poter raccontare di aver vissuto un pomeriggio con il proprio papà che si dedica a te. Per alcuni anni sono andato a scuola di musica privatamente, dando gli esami all’accademia filarmonica. Infatti, mio papà non mi aveva permesso di iscrivermi al conservatorio o al liceo artistico, o meglio, così mi aveva consigliato. Penso sia stato meglio così. Mi sono arrangiato da solo, ho tribolato, ma alla fine una passione vera non può essere fermata. Abbiamo formato una band dai quattordici ai ventiquattro anni abbiamo suonato insieme e fare musica è una forma di creatività. Componevamo noi la musica, abbiamo fatto qualche concerto e depositato quattro pezzi alla SIAE. Ci siamo molto divertiti e occupavamo molte serate della settimana a fare le prove col gruppo.
Come si uniscono i due linguaggi della libertà: arte e musica?
Anche nella musica come nella pittura si esprimono stati d’animo; è esattamente la stessa cosa, solo che si usa un altro mezzo e si percepisce con un altro senso. Ma se chiudi gli occhi e ascolti una musica, ne percepisci lo stato d’animo e l’atmosfera e la potresti tradurre su una tela. Io quando dipingo ascolto sempre musica, solitamente scelgo la musica che mi accompagna nel mio stato emozionale e nelle atmosfere del mio dipinto. Magari un giorno lo farò, ma non ho ancora tradotto una musica su una tela, o magari l’ho fatto col mio inconscio. Ancora oggi continuo a suonare il pianoforte. Ho aggiunto un microfono e mi esercito per imparare a cantare. Non ho dubbi: questa passione mi accompagnerà per tutta la vita. Forse quando penso ad alcune atmosfere pittoriche, suono anche delle musiche che gli si avvicinano. O forse quando suono certi miei stati d’animo, poi di riflesso li porto sulla tela. Immagino di avere novantacinque anni e di essere lì ancora che suono pianoforte e che dipingo. Se arriverò a quell’età, vedrò se i potenti del mondo hanno pensato o già deciso di seguire il messaggio che io porto nella mia pittura, di seguire il mio auspicio e la mia speranza di vera sostenibilità, ambientale, alimentare, economica e sociale, soprattutto morale. Facciamo cultura, educazione e sostenibilità morale. Da lì parte tutto.